Un giorno in Valvestino

PER INCONTRARE IL PASTORE DI DROANE
LA SAGRA DI SAN VIGILIO 26 GIUGNO

Dall’Hotel Riviera puoi facilmente raggiungere luoghi selvaggi dove persone vivono ancora come cento anni fa a contatto con la natura e gli animali e sanno vivere di questo. Una di queste è Silvio Tedeschi il pastore di Droane. Sono andata ad incontrarlo in Valvestino nel suo minuscolo paese ed ho pensato di scrivere questa mia giornata in queste poche righe e ricostruire la storia quasi leggenda di un paese scomparso. Per raggiungere Droane si deve arrivare prima il paese di Gargnano a sud di Limone in 20 minuti di auto dove parte la strada sulla destra dopo il semaforo che conduce in Valvestino, Navazzo e Magasa. Arrivati a Navazzo si prosegue per Magasa, Lago d’Idro. Dopo una decina di minuti lasciato alle spalle il paese di Navazzo vi troverete davanti allo spettacolare paesaggio selvaggio del lago di Valvestino. Si chiama lago ma è in realtà una diga, verso metà sulla destra prima del ponte che attraversa il braccio di lago inizia una strada bianca con segnavia N. 51, una stradina sterrata con una segnaletica da montagna la si percorre fino alle baracche di lamiera dove si può lasciare l’auto. Qui passa un fiumiciattolo, il Droanello che bisogna attraversare su un ponticello di legno per iniziare la lunga salita che conduce al fantomatico paese di Droane.
La prima cosa che colpisce arrivando sono le piante di melo. L’albero di melo segnala già la proprietà del pastore e della sorella Adelina, ed è un po’ rappresentativo del loro fare bonario rispettoso della natura e degli animali. Le mele a volte vengono lasciate a posta sull’albero per le cesene e gli altri uccelli così almeno hanno qualcosa da mangiare. Il Silvio è facile che ti venga incontro appena sente abbaiare i cani poiché di rado qui passa qualcuno, ti accoglie con il suo sorriso che porta ancora, nonostante l’età, il candore e l’onestà di un bambino. Silvio ha compiuto 80 anni il 21 marzo 2012. Non appartiene a quella schiera diffidente di certa gente di montagna, è sempre felice di poter incontrare qualcuno e di poter far vedere i suoi capretti. Se sarete così fortunati di incontrarlo potrete chiedere di visitare la sua fattoria e di vedere i vari animali ancora rimasti a fargli compagnia, allora attraverserete il prato con le colombe, i cani, i galletti americani che corrono per l’aia, e vedrete le mille cose intorno difficili da cogliere in uno sguardo solo. Sembra di tornare indietro nel tempo in una fattoria che contiene tutto quello che serve per vivere dalla legna accatastata sotto il portico, le castagne nei sacchi sono appese ai travi del tetto, il peperoncino è messo a seccare, recipienti contengono piante ancora fiorite, un teschio di animale appeso, vecchie cavagne, non sono oggetti decorativi ma utensili che hanno un loro uso quotidiano sembrano raccontare da soli la storia di una casa mai raccontata prima, la rendono una dimora vissuta come erano le case dei contadini di una volta. Il sapore d’antico s’interrompe su un pannello fotovoltaico che permette di avere quella poca energia elettrica che basta per un vivere decente. Non siamo in alta montagna, siamo solo a 800 metri d’altezza eppure la sensazione è di essere fuori dal mondo. Ma Adelina e Silvio si sono industriati in qualche modo hanno una televisione anche un boiler per l’acqua calda con il bagno e tra il vecchio camino che accendono tutti i giorni e la stufa economica c’è anche il fornello a gas sul quale mi prepara il caffè. Adelina porta una fascia sulla testa per scaldare le orecchie anche lei classe 1927, nonostante l’età ha un viso giovane e fresco, un sorriso pulito di chi ha lavorato tanto ma non si è lasciato inasprire dalla vita. ‘Io’, ‘spiega Adelina, seduta sulla sua comoda poltrona accanto al camino, ‘mi sono trasferita qui con il Silvio non me la sentivo di lasciarlo qui da solo in Droane.’
Adelina ha uno sguardo affettivo verso il fratello che vede come il fratello minore da proteggere, Silvio è seduto su una sedia vicino al tavolo con lo sguardo rivolto a terra si arrotola l’ennesima sigaretta e comincia il suo racconto metà in dialetto metà in italiano. ‘Sono nato il primo giorno di primavera e ho sempre fatto il pastore, sono nato qui in questa casa, che inizialmente era il fienile e il deposito delle patate, del frumento, dei fagioli e della frutta. Mio padre, Tedeschi Giovanni era dovuto emigrare in America, lo zio Tiene andò in Francia, altri di loro si trasferirono in val di Ledro, le cose andavano male per i nonni, si erano indebitati, le ‘vache iè come le fonne o le fa o le t’en pianta’ e fu così che venne l’anno in cui i vitelli morirono e furono costretti ad immigrare. Il papà in America conosce la moglie Viani Maria che era anche lei figlia di emigranti, ma che non godeva di ottima salute, i dottori gli dicevano che doveva cambiare aria e così dopo essere stato per tre anni in America a fare l’autista di treni, decise di portare la sua Maria in Droane ‘qui si che c’è l’aria buona’. Nel 1921 con la moglie Maria, trasformò questo posto in quella che divenne la nostra casa e il papà ritornò a fare il contadino. Avevano tutto, coltivano le patate il mais, il grano saraceno per fare la polenta, le barbabietole da zucchero che facevano bollire, filtravano ed estraevano lo zucchero, facevano il formaggio, il burro, avevano il latte facevano il pane avevano tanti animali arrivano ad avere fino a trentacinque a quaranta capre e fino a duecento pecore avevano mucche, daini, allevavano i cavalli. In inverno il papà andava a fare il carbone che vendeva per comprare il sale e tutto quello che non potevano produrre. Il Silvio partiva in estate andava a pascolare le pecore. E’ stato sei anni a Gardone, a San Michele, gli davano le pecore e la casa gratis lui stava lì a pascolarle. Andò anche sul Pizzoccolo dormiva in una casina in cima alle corne ‘visì a le ‘sguas grand’ ghe sö la casina dei malghés’, davano l’erba gratis, lì faceva anche ‘il guardia’, Giacomino lo interrompe, ma il guardia de chi’?, èh….’en po’ de tôt’, guardia dei bracconieri, guardia forestale, guardia antincendio. Il Silvio è stato un po’ dappertutto per queste montagne, partiva con le sue pecore andava anche fino a Salò o più a nord arrivava fino in Tombea, dove faceva anche il formaggio, si trovava bene con la gente, che venivano su dal Trentino erano veramente onesti: ‘…… mungevo e facevo subito le formagelle fresche, lo lasciavo lì nella moscarole, la gente lo veniva a prendere mentre io ero via con le mie pecore, lasciavano i soldi nella cassetta. Mai nessuno ha rubato niente. Ma fare il formaggio non era il mio mestiere, io tenevo le pecore, ho provato anche a fare la guardia forestale, ma non sono persona da ufficio anche se è in quel periodo che conobbi la Rosa. Era il periodo di Gardone, la Rosa era una benestante, era di Milano e direttrice della Standa, poi conobbe me, e io la portai qui in Droane, all’inizio non sapeva fare niente, poi saliva sui trattori e lavorare come un uomo, faceva una lepre e una polenta di patate che te la sognavi, quando venivano i suoi parenti da Milano, portavano da mangiare pensando che eravamo poveri, ma la Rosa faceva uno dei suoi mangiarini, io andavo magari a cacciare caprioli e le lepri, la Rosa li cucinava. I parenti, venivano che erano pallidi, ma ripartivano sereni’, Silvio si alza e toglie una fotografia in bianco e nero dalla parete, era una foto della sua Rosa, guarda questa immagine con nostalgia come se il passato gli tornasse in mente di colpo con rimpianto, ‘con la Rosa trascorsi i più begli anni della mia vita furono solo sei o sette poi ebbe un brutto male ai polmoni e la Rosa morì.’
A quel punto Adelina si alza, avevamo già bevuto il caffè, e stava facendosi tardi guarda il canestro di doni che gli avevamo portato e ordina al fratello di riempirlo. Silvio sparisce dalla porta per lasciar continuare la sorella con i ricordi tra gli scoppiettii del fuoco e il cinguettio dei vecchi lugherini che fanno loro compagnia, dopo un po’ riappare il Silvio con la cavagna piena di mele e di pere da lì capimmo che non era per pigrizia che lasciarono le mele sull’albero che vedemmo all’inizio al nostro arrivo: loro hanno veramente tanta frutta anche da vendere arrivano a produrre fino a 120 quintali di frutta. Una varietà quella di Droane tutta particolare, un sapore antico, quasi scomparso. E con tutta questa frutta che mi incammino verso il mio ritorno passando dal cugino che abita vicino alla Chiesetta di San Vigilio, un scrigno di cappella che cela gelosa la storia di un paese scomparso.

Il 26 Giugno se soggiornerete all’Hotel Riviera di Limone dovrete sicuramente venire in Droane per la Sagra di San Vigilio. Infatti in Droane, non si sa come mai il paese è scomparso e la sagra è l’unica ricorrenza rimasta come testimonianza che il paese è effettivamente esistito. Rimangono in Droane solo tre case ben distanti l’una dall’altra in ogni casa abitano i due cugini del pastore Silvio Tedeschi. Il Tiene, un personaggio simpatico che in ogni occasione porta un fazzoletto bianco annodato sul capo, se la cava come può e tiene le galline per le uova, la sua casa è ricoperta di colombi che sono i suoi inseparabili amici, poco distante quasi ad un kilometro si trova la vecchia casa che ospitava una volta tutta la famiglia di Giovanni Tedeschi i suoi innumerevoli fratelli e genitori. Ci abita il Gianni che mi è venuto incontro sorridendo anche lui tiene delle capre e fa l’orto. I cugini, unici abitanti di questa località, non si vedono di buon occhio e pare che la storia della loro discordia risalga più che a loro presente alla vita degli stessi padri. Prima di abitare nella casa nuova i genitori di Tiene abitavano in un Cùen ancora oggi chiuso come se fosse una casa anche se abbandonato. E’ proprio diffronte alla casa più recente costruita dal fratello di Silvio, dove ora abita Tiene che sorge la chiesetta di Droane dedicata a San Vigilio dove ogni anno il 26 Giugno si celebra la messa e la festa del pane. In una quadro incorniciato e appeso sul lato destro dell’altare dedicato al Santo viene riportata la storia della leggenda che qui trascrivo fedelmente.

26 GIUGNO RICORRENZA DI SAN VIGILIO.
Droane tra storia e leggenda.
In un anno imprecisato tra il 1500 e il 1530 nella zona arrivò la peste, la famigerata ‘morte nera’ e si propagò nel villaggio di Droane facendo strage della popolazione.
Droane contava allora 150 abitanti circa: ne sopravvissero soltanto due, due vecchie che – si racconta – scamparono al flagello per puro caso, essendosi riparate in un ovile dove la “spösa del bec” (la puzza del becco) le rese in qualche modo immuni dall’infezione; trovatesi sole in un paese cosparso di cadaveri, e già avviato verso la completa rovina, le due donne cercarono rifugio altrove, dirigendosi verso Magasa. Questo paese le respinse per la paura del contagio, ed esse proseguirono per Tignale, dove la fatica ed i disagi furono fatali ad una delle due vecchie, che spirò per via. L’altra concluse infine le sue peregrinazioni ad Aer di Tignale, dove trovò buona accoglienza. Alla sua morte, avvenuta per cause naturali, la donna lasciò in eredità la terra che possedeva a Droane subordinando il lascito all’osservanza di una clausula singolare, e cioè alla condizione che tutti gli anni a venire, il 26 giugno – giorno di San Vigilio (il santo a cui la donna era particolarmente devota) venisse celebrata una Messa in suo suffragio, e che al termine di questa fosse distribuito un quintale di pane fra coloro che vi avessero assistito.
Dietro alla chiesetta vi è ancora un’enorme croce bianca sotto il quale pare ci siano ancora le ossa degli abitanti di Droane. Salendo verso il Pavarì si vedono fra le sterpaglie e i rovi di spine le vecchie fondamenta di quello che potevano essere delle case, e che pare sorgesse una volta il paese. Non tutti sono convinti che lì esistesse effettivamente un paese vero e proprio. Resta comunque il fascino del luogo e della sua leggenda che diviene realtà ogni anno a San Vigilio dove effettivamente si celebra la messa e la festa del pane. Le tettoie, le panche e le tavolate di legno intorno alla casa del Tiene, come lui stesso racconta, servono proprio a questo, ad ospitare in questa occasione i viandanti che sopraggiungono lì una volta l’anno per la sagra di San Vigilio.

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